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L'abbigliamento della matrona romana in età imperiale
Nella prima fase
dell'età repubblicana, l'abbigliamento della matrona
romana fu sobrio e rigoroso; infatti, in osservanza
allo status sociale della donna ed al sistema di
valori che ella doveva rispettare, nell'abbigliamento
non era concesso spazio né a lusso né a frivolezze.
Questa situazione, tuttavia, incominciò progressivamente
a mutare a partire dal III secolo a.C., quando,
con l'inizio dell'espansione romana nel Mediterraneo,
nuovi costumi e nuovi stili di vita, in massima
parte d'origine orientale, si diffusero a Roma,
facendo rapidamente presa soprattutto sugli esponenti
delle classi sociali più elevate.
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Fanciulla che si pettina
Provenienza: Pompei, Villa dei Misteri
Datazione: I sec a.C – I sec. d.C. |
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Anche le donne furono attratte da queste innovazioni
ed incominciarono a poco a poco a modificare il
proprio stile di vita e le proprie abitudini. Un'interessante
testimonianza sull'evoluzione dei costumi delle
matrone romane è fornita dall'episodio della Lex
Oppia (215 a.C.), una legge che imponeva
alle donne vari divieti, tra cui quello di indossare
abiti di colori diversi e di possedere più di mezz'oncia
d'oro. La legge, che aveva alla base - oltre a motivazioni
di stampo morale, volte a ripristinare i valori
matronali di sobrietà e parsimonia - anche motivazioni
politico-economiche, legate alla crisi provocata
dalla seconda guerra punica (218-202 a.C.), rimase
in vigore per circa vent'anni, finché proprio le
donne, con una celebre protesta, ottennero
la sua abrogazione. Le più grandi innovazioni si
ebbero, tuttavia, soprattutto a partire dall'età
imperiale, quando lo sfarzo dilagò e la ricerca
del bello e del raffinato divenne quasi esasperata.
Nel campo della moda l'originaria stola in lana
bianca, che aveva caratterizzato l'austera matrona
dei primi secoli dell'età repubblicana, fu definitivamente
soppiantata da un nuovo tipo di abbigliamento sempre
più
incentrato sul lusso e sulla ricercatezza.
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Lucerna fittile a due luci a forma di piedi
calzanti sandali
Provenienza: villa romana di località Petraro, a S. Maria La Carità
(Na)
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Un tessuto come il lino, precedentemente riservato alle sole Vestali, divenne
d'uso comune, mentre dall'Oriente e, in particolare,
dalla Persia provenivano, richiestissime dalle ricche
matrone, sete pregiate. I colori delle stoffe erano
ottenuti attraverso appositi bagni in coloranti
naturali e le tinte più ricercate erano il giallo,
ricavato dallo zafferano e dalla reseda, il nero,
dalle noci di galla, il rosso, dalla porpora ed
il violaceo, dal croco.
Grande importanza era riservata ai capelli, che
venivano solitamente tinti di biondo, secondo i
canoni estetici dell'epoca, e pettinati in modi
diversi a seconda del tipo di capelli e della forma
del viso. La pelle era invece curata con una serie
di unguenti e misture che servivano a molteplici
scopi come rivela Ovidio che, invitando le donne
a seguire
la cura placendi e la munditia
fornisce anche alcune
ricette di creme di bellezza . Per
quanto riguarda le calzature, poiché la moda esigeva
un piede piccolo e sottile, si ricorreva a scarpe
volutamente strette. Le donne che, invece, avevano
questo pregio per natura potevano anche osare i
cothurni, dei sandali con la suola rialzata,
solitamente di color porpora, che lasciavano il
piede scoperto. In età imperiale si moltiplicò anche
il numero di accessori che dovevano completare l'abbigliamento
femminile. Tra i principali si ricordano il focale,
una sorta di sciarpa a colori vivaci che si annodava
attorno al collo, la mappa, una salvietta
che si legava al braccio e serviva a detergersi
dal sudore ed il flabellum, un ricco ventaglio
di penne di pavone. Le fonti letterarie offrono
diverse testimonianze sulla moda femminile, testimonianze
tanto più interessanti se si considera che alla
loro base vi era un punto di vista esclusivamente
maschile. Gli autori romani, nella maggior parte
dei casi, disapprovavano la vanità e la ricerca
del lusso da parte delle donne poiché vedevano in
ciò un segno della decadenza dei costumi. A loro
avviso, infatti, la costante cura del corpo e dell'abbigliamento
era la prova evidente che la donna romana aveva
totalmente rinnegato gli antichi valori matronali
della pudicitia e della modestia e che i suoi unici scopi
erano ormai la seduzione e la ricerca del piacere
amoroso. Questo nesso vanità-piacere amoroso, lusso-adulterio
è presente soprattutto in
Giovenale , che in molti dei suoi versi
lancia sferzanti invettive alle donne dell'epoca.
Rosaria Luzzi |
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