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Editoriale
Grandi cambiamenti sociali hanno modificato, in
tutti i paesi europei, negli ultimi 40 anni, il
modo di intendere il matrimonio. In tutti gli Stati
sono state, infatti, varate riforme radicali del
diritto di famiglia che hanno trasformato i principi
che regolano il rapporto di coppia così come quello
dei genitori con i figli. In Italia, la Costituzione
del 1948 afferma che "Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi" (art. 29 Cost.)
e che " è dovere dei genitori istruire, mantenere
ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio"
(art. 30 Cost.). Tuttavia, nei primi 10-15 anni
dalla sua emanazione questi principi furono scarsamente
applicati soprattutto perché prevalse l'idea che
la disuguaglianza, il rapporto gerarchico tra i
coniugi, fosse funzionale al mantenimento della
stabilità dell'istituzione famiglia il cui interesse
era da considerarsi superiore a quello dei membri.
Un effetto dirompente per l'operatività dei principi
di uguaglianza e libertà di scelta lo ebbe sicuramente
la legge sul divorzio del 1970: il matrimonio, da
questo momento in poi, non è più un vincolo destinato
a durare tutta la vita. Questa possibilità di porre
fine legalmente ad un rapporto basato ancora sulla
potestà del marito sulla moglie, fu un uno degli
eventi che produsse un cambiamento della disciplina
del rapporto coniugale. Ugualmente innovativa fu
la riforma del diritto di famiglia del 1975. La
riforma cancella le disposizioni in cui si faceva
riferimento al marito come "capo della famiglia"
e afferma, senza mezzi termini, che "col matrimonio
si acquistano gli stessi diritti e assumono gli
stessi doveri", che ognuno dovrà contribuire al
soddisfacimento dei bisogni della famiglia "in relazione
alle proprie sostanze e alla propria capacità di
lavoro professionale e casalingo"(143 c.c.). Si
afferma così l'idea della collaborazione nel rispetto
reciproco dei bisogni di ognuno, che hanno pieno
riconoscimento senza essere sacrificati per l'interesse
superiore della famiglia. Allo stesso modo, per
quel che riguarda il rapporto con figli, si afferma
il principio della potestà esercitata di comune
accordo tra i genitori (316 c.c.). Sia la madre
che il padre, in altre parole, sono considerati
ugualmente responsabili ed hanno pari potere nelle
decisioni che riguardano i figli minorenni, si impone,
poi, per entrambi "l'obbligo di mantenere istruire
ed educare la prole" (147 c.c.) in proporzione alle
proprie sostanze e capacità. Questo principio è
considerato operante sia nei confronti dei figli
nati durante che al di fuori del matrimonio.
Un' ulteriore importante modificazione della riforma
riguarda l'età per sposarsi. Mentre prima gli uomini
potevano sposarsi a 16 anni e le donne a 14, adesso
il limite minimo è per entrambi 18 anni. Il cambiamento
è rilevante sia perché non c'è differenza tra l'uomo
e la donna sia perché, adesso, a 18 anni si raggiunge
la maggiore età e si acquista la capacità di agire.
In tal modo la riforma presuppone e mette in evidenza
che per compiere un atto così importante è necessario
avere la maturità e l'autonomia decisionale sufficienti.
Francesca Saudino |
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